Punti di vista | Bruno Gabbiani, Presidente Ala Assoarchitetti

Superbonus 110%: effetti tossici a lungo termine sulle professioni, sull’industria delle costruzioni e sull’economia

"Il Governo e il Parlamento hanno tutti gli elementi per prendere atto che non si può attivare un piano di recupero ed efficientamento del patrimonio edilizio privato così ambizioso, come dev'essere effettivamente quello che si è tentato di porre in atto, in un coacervo di normative prive di chiarezza e con tempistiche che determinano l’abbassamento della qualità dei risultati degli interventi e distorcono le componenti del mercato e dell’industria delle costruzioni".
Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti.

Dobbiamo ritornare sul Superbonus. L’occasione ci è data dall’emanazione del dl 25.02, n. 13, “misure urgenti per il contrasto alle frodi … in materia edilizia, …”, che ha introdotto pesantissime pene detentive e sanzioni pecuniarie, nei confronti dei liberi professionisti coinvolti in operazioni sulle quali vi sono sospetti d’irregolarità nella gestione dei crediti d’imposta.

Beninteso non vogliamo assolutamente sostenere che chi ha sbagliato non debba pagare, anzi. Tuttavia le pene previste (fino a 5 anni di reclusione) sono chiaramente abnormi rispetto alle effettive responsabilità che hanno i professionisti nelle operazioni e sono anche indeterminate, se si considera che possono essere genericamente aumentate, senza stabilirne il quantum,se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto”.

Ma soprattutto il dl identifica qui si ingiustamente, proprio nei professionisti, i responsabili delle frodi. Così il dm di fatto esonera gli altri attori della filiera, tra cui quelli che hanno trasformato le occasioni di lavoro in speculazioni finanziarie milionarie e creato imprese destinate a scomparire senza responsabilità, alla conclusione delle operazioni.

I professionisti, nella situazione di difficoltà e di debolezza contrattuale nella quale si trovano da oltre dieci anni, sono invece quasi sempre i soggetti deboli, incastrati nei meccanismi finanziari suscitati proprio dalla cattiva qualità dell’idea stessa del 110% e delle leggi che lo hanno istituito.

Sui temi e sui problemi derivanti da questo dl, oltre alle numerose lamentele della base della categoria degli ingegneri e degli architetti, registriamo anche un condivisibile intervento molto critico da parte della Fondazione Inarcassa, nella persona del presidente Franco Fietta.

Ma vi è di più: l’improvvisa enorme richiesta di beni e servizi di bassa qualità indotta dai bonus e soprattutto dalle scadenze ravvicinate fissate per usufruirne ha provocato un aumento inusitato dei costi di costruzione.

Un aumento che è stato reso ancora più forte dalla carenza mondiale di materiali e merci derivante dalla pandemia e che sta comportando come esito paradossale, la riduzione del valore degli immobili da recuperare.

Un fenomeno imprevisto, determinato dal fatto che agli incrementi dei costi di costruzione non corrisponde quello dei valori di mercato degli immobili finiti. Una forbice che ha come risultato di ridurre quasi a zero, il valore degli immobili da ristrutturare e dei terreni da edificare. Una situazione nuova e allarmante, che sta già provocando la sospensione di molte iniziative immobiliari sane.

Tutti questi fenomeni hanno di fatto vanificato l’originario e giusto obiettivo della L. 90/2013, che era di recuperare il vetusto patrimonio immobiliare privato, mediante agevolazioni pubbliche di tipo strutturale.

Così la cattiva legge sul Superbonus, che ha artificiosamente creato un’enorme bolla speculativa, rischia di provocare anche il blocco generalizzato dell’attività edilizia privata. Ed è veramente superfluo richiamare la gravità degli effetti di un blocco dell’attività edilizia sull’economia e sul Pil e sulle speranze di stabile ripresa del Paese.

Ci permettiamo quindi di esprimere pochi punti fondamentali, che permetterebbero di ottenere un rapido miglioramento degli scenari e dei risultati:

  • I Bonus vanno resi strutturali, cioè permanenti, ma anche sostenibili per la finanza pubblica, cioè limitati al 50 – 60% dei costi d’intervento;
  • Le norme devono essere semplici e stabili nel tempo, per consentire ai singoli soggetti ben intenzionati, di operare con ponderatezza e cognizione di causa, nella legittimità e senza divenire preda degli speculatori finanziari e di operatori improvvisati e provvisori;
  • Dev’essere incentivata l’effettiva qualità sostanziale e non soltanto burocratico – formale dei risultati degli interventi, con i relativi benefici per gli utenti, ma anche per le professionalità degli operatori a tutti i livelli e per le strutture delle imprese di costruzione serie e durature nel tempo;
  • Infine, sotto il profilo culturale e della valorizzazione delle potenzialità turistiche dell’Italia, le norme devono garantire l’integrità di quanto resta dei caratteri dei centri e degli edifici storici e del paesaggio, evitando interventi standardizzati, avulsi dalla cultura materiale dei siti e che ignorano il contesto, come invece avviene con l’indifferente applicazione dei “cappotti” a tutte le tipologie di costruzioni.

Il Governo e il Parlamento hanno tutti gli elementi per prendere atto che non si può attivare un piano di recupero ed efficientamento del patrimonio edilizio privato così ambizioso, come dev’essere effettivamente quello che si è tentato di porre in atto, in un coacervo di normative prive di chiarezza e con tempistiche che determinano l’abbassamento della qualità dei risultati degli interventi e distorcono le componenti del mercato e dell’industria delle costruzioni.

Per prendere anche atto che in tutto questo evitabile caos, che non è possibile far ricadere le responsabilità sulle spalle di un unico soggetto: l’architetto o l’ingegnere libero professionista.

di Bruno Gabbiani, ALA Assoarchitetti

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