2050. Sembra una data ancora lontana, ma se pensiamo a ciò che ancora serve fare per decarbonizzare e rendere sostenibile l’edilizia e con essa tutto l’ambiente costruito, è facile comprendere come il conto alla rovescia metta apprensione.
Al 1° gennaio 2023, allo storico appuntamento, mancheranno esattamente 9.861 giorni. Ventisette anni per centrare nientemeno che l’obiettivo della neutralità climatica. Per arrivarci non basta la buona volontà e procedere in ordine sparso, occorre adottare un approccio, come si usa dire, sistemico.
C’è chi questo impegno se l’è caricato sulle spalle e dopo quasi due anni di lavoro ha presentato una Roadmap, un percorso aperto e inclusivo, a scala nazionale, coordinato con altri dieci Paesi europei, per arrivare in tempo a una meta che la comunità internazionale e l’Europa in particolare si sono prefissi.
Il merito è della associazione Gbc Italia, la comunità nazionale aderente al World Green Building Council, ovvero la community internazionale per l’edilizia e l’immobiliare sostenibile, che nei giorni scorsi ha presentato il risultato del proprio operato con un documento di oltre 40 pagine.
La Roadmap, frutto del contributo di più di 200 stakeholder della filiera, che indica 63 obiettivi da raggiungere nell’arco temporale tra il 2025 e il 2050, con tappe fissate al termine dei decenni intermedi, definisce sei categorie di soggetti da coinvolgere – pubbliche amministrazioni; sviluppatori immobiliari; professionisti e imprese di costruzioni; produttori di materiali, componenti e impianti; società di servizi e reti energetiche; finanza privata – e tre macro aree di intervento prioritarie: decarbonizzazione degli edifici; circolarità del settore delle costruzioni; qualità e resilienza delle città, oltre a ulteriori azioni per la salubrità e la resilienza dell’ambiente costruito (senza dimenticare uno specifico approccio relativo agli edifici con valenza storico-testimoniale).
All’interno di ciascuna delle aree sono definiti gli obiettivi da raggiungere da parte dei vari stakeholder a ogni fine decennio.
Un percorso articolato, quello proposto, per arrivare alla neutralità zero dell’intero ciclo di vita dell’ambiente costruito: un approccio complessivo, non settoriale, non limitato all’efficienza energetica o all’apporto delle rinnovabili, ma – si potrebbe definire – olistico, capace di occuparsi anche di formazione delle figure professionali coinvolte e di digitalizzazione dei processi.
Dal punto di vista organizzativo la Roadmap si è basata sul lavoro di un Advisory Board – un organo consultivo formato da attori di dieci Paesi europei che hanno guidato lo sviluppo del documento e svolto tre round di revisione degli obiettivi e delle azioni previste, cui hanno partecipato otto soci della associazione italiana – e di 18 Ambassador, esperti rappresentativi di diverse categorie di stakeholder per le varie attività di comunicazione e diffusione delle pratiche previste.
Imprese Edili ha intervistato Marco Mari, presidente di Green Building Council Italia e responsabile di questo progetto: un’iniziativa che, considerate le dimensioni, ha dello straordinario. Ecco come ha risposto alle nostre domande.
Presidente Mari, da dove iniziamo a raccontare quest’impresa?
È stato un lavoro complesso e articolato, ma mi piace iniziare dall’evento di Roma, ovvero dalla presentazione della Roadmap nazionale. Lì era presente tutta la comunità nazionale e internazionale. Nell’occasione abbiamo voluto sottolineare che, anche e soprattutto nel nostro Paese, la trasformazione del mercato è possibile e che l’ambiente costruito può e deve essere componente centrale della soluzione alla crisi climatica. Serve procedere verso una concreta applicazione dei principi di sviluppo sostenibile da parte di tutti gli attori, per accrescere la resilienza dei luoghi in cui viviamo, per migliorare la salute delle persone e per raggiungere una trasformazione giusta, capace di generare uguaglianza sociale e sviluppo economico.
Un lavoro di quasi due anni si regge sulla disponibilità di risorse economiche. Come sono state finanziate le attività?
Le attività che abbiamo realizzato in questi mesi sono state sostenute dai fondi previsti dal progetto Building Life, proposto dalla rete europea di World Building Council, finanziato dalle fondazioni Ikea e Laudes e sviluppato in sinergia da dieci Green Building Council europei. Lo scopo era raggiungere un’azione capace di agire su un ampio spettro di obiettivi delle Nazioni unite, traguardando l’Azione per il clima, e dunque agendo contemporaneamente sulla decarbonizzazione e la sostenibilità dell’ambiente costruito. Nell’evento, che si è tenuto a Palazzo Poli a Roma, abbiamo presentato i risultati della prima fase del progetto. Analogamente, sempre in dicembre, hanno fatto gli altri nove Green Building Council nei rispettivi paesi: Spagna, Olanda, Croazia, Germania, Francia, Finlandia, Polonia, Irlanda e Inghilterra compresa. Ovunque il risultato è stato positivo. Grazie a questo sforzo, anche con il supporto fondamentale della community italiana, che si è avvalso di forum di discussione composti in primis dai nostri soci, le due fondazioni finanziatrici hanno confermato la volontà di sostenere anche le attività della seconda fase, che si svolgeranno nel prossimo triennio.
Il titolo del vostro lavoro fa riferimento al ciclo di vita dell’ambiente costruito. Perché non vi siete fermati all’obiettivo della decarbonizzazione?
Per noi decarbonizzazione e trasformazione sostenibile dell’edilizia rappresentano un binomio indissolubile. Nei processi di decarbonizzazione serve tenere conto che si agisce su sistemi complessi, quali gli edifici. Serve dunque adottare un approccio completo, che contempli tutte le variabili, come ad esempio i consumi idrici o la qualità degli ambienti indoor, che comprende sia il comfort che la salubrità dei luoghi in cui viviamo. Coerentemente con l’approccio europeo denominato Dnsh, Do Not Significant Harm, non si può agire solo su un versante, magari producendo danni su altri. L’approccio nostro, quello dei Gbc di tutto il mondo, è sistemico, olistico direi. Un approccio che è stato sposato anche dalla finanza internazionale, che riconosce anche negli indicatori Esg l’importanza di strumenti come i protocolli energetico-ambientali rating system.
Cosa rispondete a chi sostiene che il sistema delle certificazioni è adatto all’edilizia di alta gamma?
Rispondo che si tratta di un’affermazione sbagliata, che appartiene a una corrente di pensiero superata, che sosteneva l’idea che la qualità costa. Poi si è scoperto che a costare è, al contrario, la mancanza di qualità. Il bisogno di misurare un asset immobiliare è un fatto indipendente dalla sua collocazione nell’ambito urbano, che sia cioè in centro o in periferia, e lo è anche dalle prestazioni assolute. Gli indicatori di sostenibilità e la misura delle prestazioni sono necessarie per qualsiasi livello di produzione edilizia. Il nostro Paese ha iniziato dalla fascia alta di mercato: sono state le banche e i fondi immobiliari a porsi per primi il tema del valore dell’investimento alla luce dei parametri energetico-ambientali. Possiamo dire che gli attori che posseggono più asset immobiliari sono stati più rapidi e sensibili a muovere nella direzione di prestazioni misurate, considerando l’output dei protocolli energetico-ambientali, il rating, come indicatore sintetico di rischio di credito e complemento del valore dell’asset stesso. D’altronde non è un caso se a questa onda di mercato è seguita la direttiva europea sulla tassonomia della finanza sostenibile. Oggi, lo sforzo che la nostra associazione sta compiendo è esattamente il contrario: stiamo promuovendo questi approcci anche e soprattutto nei piccoli immobili. Anche gli asset più comuni, quelli della cosiddetta edilizia diffusa, devono porsi rapidamente il problema della trasformazione del mercato e degli obiettivi di sostenibilità della produzione edilizia. Il tema dello sviluppo sostenibile e del valore sociale, ambientale ed economico che saremo in grado di garantire alle future generazioni riguarda tutti.
Nelle vostre elaborazioni si prediligono delle specifiche tecnologie costruttive?
L’unico approccio possibile è un approccio prestazionale, non prescrittivo. Tale modus operandi stimola l’innovazione e permette agli attori di mercato di scegliere l’insieme di soluzioni che possono far perseguire il migliore risultato stante i vincoli, anche economici. Questo approccio, soprattutto quando guidato da protocolli energetico-ambientali, mette al centro la qualità del progetto e permette di raggiungere la sostenibilità dell’ambiente costruito. Non facciamo riferimento a una tecnologia specifica, incentiviamo però l’uso di materiali e di energie da fonti rinnovabili. Anche gli obiettivi della stessa Roadmap sono declinati secondo un approccio incardinato nella definizione di sviluppo sostenibile, ovvero lo sviluppo che contempla assieme aspetti ambientali, sociali ed economici, in una tripartizione. Noi facciamo riferimento alle prestazioni, al ciclo di vita utile. Sta a chi progetta ottenere la giusta alchimia tra tecnologia, tecnica, materiali, componenti e soluzioni impiantistiche. Sta poi alle imprese che realizzano le opere seguire quanto previsto in fase progettuale e impegnarsi nell’implementare processi di minore impatto, anche in fase di cantiere. Infine, un edificio sostenibile deve avere tutte le corrette informazioni per il suo esercizio, perché ciò che realmente conta sono le prestazioni e i relativi impatti.
Quella della decarbonizzazione è una corsa contro il tempo. In generale, la produzione edilizia è ancora poco efficace. L’edilizia off-site può essere una risposta in grado di tenere assieme qualità e accelerazione dei processi produttivi?
L’off-site è uno dei temi importanti di questa fase. È sicuramente una soluzione intelligente ai problemi di una produzione edilizia poco efficace. Ma considero questo approccio all’interno di un quadro più ampio che riguarda l’industrializzazione dei processi di realizzazione delle opere, in cui inserire, ad esempio, anche il tema della digitalizzazione. Nei processi pre-ingegnerizzati, come quelli che consentono la produzione in stabilimento, l’edilizia può meglio integrarsi con la pianificazione della qualità prevista dai protocolli energetico-ambientali e raggiungere più facilmente rating elevati, anche negli interventi di riqualificazione del patrimonio esistente. La direzione dell’off-site per l’efficientamento energetico è sicuramente giusta. Non è un caso che come Gbc Italia, di recente, abbiamo presentato il Protocollo Gbc Condomini, che permette di avere un approccio olistico nell’analisi dei rischi e dei problemi degli immobili, per permettere processi di miglioramento, anche parziali, senza perturbare ulteriori ambiti e lasciando la corretta documentazione per i successivi processi di manutenzione e miglioramento futuri. A nostro avviso, il corretto approccio all’off-site ha un limite nella sua matrice anglosassone, per cui esiste un grande mercato per la sua applicazione, ma c’è anche un limite oggettivo rappresentato dalle caratteristiche peculiari dell’architettura mediterranea. Mi riferisco, ad esempio, ai tanti asset del patrimonio storico-testimoniale del nostro Paese, per i quali abbiamo sviluppato un protocollo energetico-ambientale, il Gbc Historic Building, dedicato ai contesti in cui cultura e ambiente rappresentano un binomio inscindibile e un valore che va assolutamente preservato.
di Pietro Mezzi