I lettori di questo sito e quelli che ci seguono sull’edizione cartacea di “Imprese Edili” hanno avuto modo, da sempre, di conoscere la mia ammirazione per il libro “Viaggio in Italia” scritto da Guido Piovene. Il volume, ora in ristampa da Baldini & Castoldi, racconta il viaggio compiuto da Piovene dal 1953 al 1956, tre anni in cui l’autore viaggiò cittĂ dopo cittĂ per lasciarci una pubblicazione straordinaria dove societĂ e storia, costume e politica, arte e tradizioni, architetture ed economie del periodo vengono descritte  con grande acutezza, in modo che si potrebbe definire quasi antropologico tanto riesce, Piovene, a far emergere dal suo scritto il carattere degli italiani e del Paese nel suo insieme negli anni che vanno dalla conclusione del periodo della ricostruzione del Dopo Guerra agli albori di quello che è passato alla storia come il Boom economico. Una pubblicazione figlia del grande spirito di osservazione propria dell’autore.
Ho citato il libro di Piovene per introdurre alcune considerazioni sulla pubblicazione di Valerio Paolo Mosco “Architettura italiana, dal postmoderno ad oggi” (edito da Skira) perchĂ©, rispettando le debite proporzioni, le considerazioni e le analisi di Mosco sono meritevoli di grande attenzione.
Il libro di Mosco
Se Piovene ci ha lasciato un libro capace di essere una fotografia della realtĂ dell’Italia di allora Mosco ci lascia la sua “fotografia dell’architettura italiana” e lo fa con estremo garbo senza la pretesa di aver delineato una storia completa ma con l’umiltĂ che però deriva dalla convinzione di aver proposto elementi di riflessione che gli appartenenti al poliedrico universo dell’architettura (siano professionisti, soprattutto siano studenti) non possono tralasciare di considerare.
Mosco con questo scritto si pone come un semplice suggeritore teatrale, personaggio invisibile nel contesto scenico ma fondamentale per gli attori e per la riuscita della rappresentazione. Mosco infatti ci suggerisce il suo pensiero, ci dĂ lo spunto per verificare aspetti, vicende, autori progettisti e interpretazioni architettoniche dalla fine degli anni ’70 ai giorni nostri: lo fa però con chiarezza d’intenti senza temere, in alcuni momenti, di esprimere giudizi sferzanti.
Reputo non sia compito della stampa, quindi nostro, entrare nel merito di quello che Mosco delinea come “arabesco dell’architettura italiana” e neppure soffermarci a considerare una professione che, spesso e purtroppo, rasenta il ridicolo quando si gongola nella fiera delle vanitĂ e propone esiti kitsch.
Non è rilevante considerare se le preferenze di Mosco vanno a Piano e a Fuksas e se l’indole di quest’ultimo si caratterizza come “un uomo contro”, reputo non sia fondamentale conoscere le particolaritĂ dell’evoluzione dell’architettura analitica oppure soffermarsi sulle definizioni di Manfredo Tafuri, o ancora citare i dogmi dell’architettura assertiva. I gusti sono personali e quindi può risultare per i futuri lettori un inutile preziosismo soffermarmi sui fautori della cittĂ consolidata e quelli della cittĂ diffusa: l’Italia è da sempre il Paese che ama schierarsi da una parte o dall’altra dilettandosi nel “meglio la Callas o la Tebaldi” e ancora “è piĂą bravo Maradona o Pelè” perdendo di vista l’essenza degli obiettivi.
Gli obiettivi dunque
Sono dell’idea che la pubblicazione di Mosco un obiettivo lo centri molto bene: quello di delineare le epoche che caratterizzano l’architettura italiana. Il grande momento dell’edilizia residenziale pubblica e privata, gli anni della sperimentazione e dei numerosi concorsi banditi (a volte reali occasioni di professionalitĂ e spesso meri artifici), gli anni della forte domanda che vede poi “quella classe borghese che con il boom economico aveva espresso il suo ottimismo anche attraverso l’architettura, nel plumbeo clima degli anni ’70 evitare di apparire scegliendo di rappresentarsi attraverso un anonimato asettico”. Sono gli anni in cui l’architettura s’inchina al verbo del politicamente corretto cui seguono e prendono forme le cause del declino del professionismo colto: le piĂą vistose “riguardano lo sviluppo della professione con gli effetti dell’universitĂ di massa e con l’offerta lavorativa che subisce una pesante inflazione svilendo la qualitĂ della stessa… inflazione che porta a incrinare quel rapporto di apprendistato e di bottega che aveva permesso fino ad allora alla disciplina di essere tramandata, nei casi piĂą felici, in un’atmosfera capace di mediare la professione con l’autorialitĂ ”. E da lì prendono vigore e seguono gli anni delle delusioni, quelli del ricorso al ribasso dei prezzi e la delega anche della progettazione ai general contractors, le stagioni del mancato varo della legge sull’architettura, la noncuranza della pubblica amministrazione in tema di ricerca e tecnica edilizia, le scelte impossibili dell’allora ministro Luigi Berlinguer di moltiplicare le facoltĂ di architettura, tutti temi che emergono dalla penna dell’autore e che Mosco ci evidenzia per approfondirli in maniera razionale affinchĂ© si possa tentare di comprendere le difficoltĂ dei professionisti di oggi e il magma che rallenta lo sviluppo del comparto edilizio-architettonico e, nello stesso tempo, ipotizzare gli scenari futuri.
di Livia Randaccio
Titolo:Â Architettura italiana dal postmoderno ad oggi
Autore:Â Valerio Paolo Mosco
Casa editrice:Â Skira
Pagine:Â 186
Prezzo: 23.50Â euro