Villa Prospera costituisce un’eccezione, nell’accezione di rurale, perché partecipa alla ruralità ma con qualche nobile origine del marchesato Menafoglio, sceso dal varesotto nel XVIII secolo per legami d’interesse con la famiglia d’Este, e rimasto da allora per più di un secolo in un solidale rapporto reciproco. Una vasta proprietà terriera giustificava ampiamente la loro presenza al punto da fargli edificare con una certa semplicità stilistica un Casino di caccia, di proporzioni insolite e in aggiunta agli edifici produttivi esistenti, nella seconda metà del milleottocento.
Il cantiere. Quel che è stato subito chiarito dai progettisti intervenuti nelle opere di recupero di Villa Prospera (a Bondeno in provincia di Ferrara) era come nel si dovesse porre rimedio a una cattiva gestione del peso proprio dell’edificio sui piani orizzontali, caricato all’inverosimile in virtù delle disponibilità costruttive dell’epoca, e questo primo approccio poneva il parallelismo col mantenimento dei caratteri costruttivi dell’edificio.
Partendo dall’alto, i solai di copertura e dei locali di servizio del sottotetto non potevano lavorare con oltre 240 Kg/mq di solo peso proprio e sono quindi stati scaricati di oltre la metà con l’utilizzo di nuovi tavolati lignei. L’estradosso dei solai dopo lo smontaggio è stato sostituito con tavolati incrociati e la struttura in legno dell’orditura principale e secondaria esistente resa collaborante agli orizzontamenti.
Il miglioramento delle connessioni tra solai e murature verticali ha poi riguardato il miglioramento del vincolo delle orditure al paramento con connessioni a tasselli e piastre di rinforzo su ciascun elemento di solaio. Questo intervento ha chiaramente introdotto una difficoltà esecutiva nella salvaguardia dei cassettonati del piano nobile, in particolare nella delicatezza delle fasi di smontaggio degli impalcati e di fissaggio delle carpenterie di contrasto alla fuoriuscita dei travetti strutturali dal piano, applicati dal piano superiore in estradosso.
Riutilizzo dei materiali. Questa prima fase di alleggerimento ha tuttavia generato un processo virtuoso di necessità di recupero e riutilizzo dei materiali di smontaggio non più necessari, spingendo la direzione dei lavori all’accatastamento e alla cernita di materiale di alta qualità dei laterizi da reimpiegare nelle fasi successive d’intervento sulle murature verticali in ricostruzione e sul ripristino delle finiture a terra. In buona sostanza si è riproposto l’inverso di quel processo di utilizzo dello scarto che aveva caratterizzato la fase costruttiva ottocentesca determinando la carenza principale dell’edificio, e facendola diventare ora occasione di rinforzo.
Volte a botte. Le volte a botte costituiscono la quasi totalità delle strutture portanti dei solai intermedi della villa ed è vero che debbano essere ragionevolmente caricate a compressione perché lavorino con efficienza. Nel caso specifico i solai di 5x5m lavoravano con due volte a botte a scaricare la metà del loro peso per ciascuna su una trave lignea centrale. Aggiungendo a questo schema costruttivo il carico, oltre che della volta in sé, anche del riempimento in materiale misto pesante è chiaro che il valore di sovraccarico sale rapidamente oltre il dovuto. I sondaggi hanno restituito una stratigrafia di pavimentazioni varia e fatta presumibilmente di aggiunte compensative a livellare gli spanciamenti dovuti a flessione della trave centrale, con ricarichi di materiale eterogeneo solo in corrispondenza delle zone ribassate per flessione.
L’operazione di rinforzo e confinamento delle volte ha richiesto quindi una decisione non semplice di controllare la fase di scarico per arrivare alla struttura in foglio senza permettere dilatazioni tra i giunti o allentamenti degli stessi. Un’operazione complessa e delicata fatta per conci successivi fino alla stesura delle reti di fibrorinforzo e senza sovrapporre strutture in c.a. gettate in opera. Puntellature in intradosso per quanto necessarie non oltre sagoma e centinature fitte e continue nelle porzioni crollate e da ricostruire.
Lesioni delle superfici. Risolte le vertenze sui piani orizzontali si è provveduto a intervenire sulla principale carenza costruttiva dell’edificio che restava insita nella scarsa qualità dei leganti delle malte. Si può sostenere che quella muratura stesse unita solo in virtù del peso proprio, senza collaborazione plastica tra gli elementi se non in minimo contributo. C’è la convinzione che ogni cantiere in qualsiasi periodo storico sia sempre da valutare nelle situazioni contingenti, economiche, tecniche disponibili in quel preciso momento e si suppone in partenza che professionisti e maestranze abbiano potuto agire solo e soltanto in quel modo come espressione migliore del proprio operato.
Tuttavia i momenti non sono sempre favorevoli e talvolta non lo sono nemmeno le conoscenze sperimentali, e ciò fa di qualche episodio un problema futuro da risolvere. Sul banco di analisi c’era dunque una muratura con almeno tre costituzioni differenti, e che per debolezza aveva assorbito l’onda d’urto disarticolandosi in maniera estremamente diffusa. Il livello di danno presentava lesioni che da capillari diventavano lesioni passanti sulla quasi totalità delle superfici di primo e secondo livello, tanto da non poter indicare uno stato fessurativo specifico se non applicabile alle intere superfici murarie verticali.
Rinforzo delle murature. Quanta sperimentazione potesse essere messa in atto nella scelta della tipologia di intervento ha certamente influenzato l’intero sistema di recupero e di rinforzo delle murature. Da un lato la correttezza di intervento ha imposto un largo uso di ricuciture murarie e parziali ricostruzioni dei ribaltamenti di fronte che come nel lato sud fuoriuscivano dal piano di oltre undici centimetri, dall’altro era giusto considerare il grande valore di resistenza a compressione delle murature esistenti seppur con i limiti manifesti di resistenza a taglio e trazione.
I fibrorinforzi estesi su tutte le superfici verticali hanno avuto largo campo di applicazione. Si è optato per un sistema composito di armatura della muratura che tuttavia non aggiungesse massa e non creasse sostanzialmente l’accorpamento di materiali eterogenei tra loro o con spessori, oltre che pesi, significativi.
Reti in fibra di vetro alcali resistenti e miscele di malte bicomponenti a base di calce nhl e pozzolana hanno risposto come sistema composito alle necessità di confinamento delle murature. Il sistema si conclude con l’inserimento di connettori a fiocco passanti attraverso la muratura e risvoltati sulla rete di entrambi i lati. Il tutto reso in uno spessore ridotto a poco più di un centimetro di intervento strutturale senza pesi maggiori di quelli paragonabili a un intonaco tradizionale di calce naturale.
Va notato come la preparazione in serie di questo intervento abbia richiesto una precisione farmaceutica nella fase di apprendimento della manodopera per poi diventare routine dovuta all’utilizzo di questo sistema per centinaia di metri quadri sull’intera superficie muraria interna ed esterna dell’edificio. È inoltre vero che in base alla tipologia di materiale disponibile commercialmente si possono avere evidenti dislivelli di costo ma con comportamenti prestazionali comunque differenti, quel che non va sottovalutato è l’importanza del costo unitario della lavorazione che sommandosi tra materiale e manodopera complessa tende a oltrepassare le più rosee aspettative dei prezziari regionali per le opere edili.
Restauro delle decorazioni e delle finiture applicate. Questione specifica è il restauro delle decorazioni pittoriche e delle finiture applicate. Lo stato di danno ha intaccato la stragrande maggioranza delle superfici finite dell’edificio ed è stata occasione per riportare in luce decorazioni pittoriche di semplice valore testimoniale che non erano note nella sua totalità neppure alla committenza.
La qualità delle malte di finitura degli intonaci non era migliore di quella delle malte da costruzione, e i distacchi, le lesioni e i crolli parziali ne hanno compromesso l’ipotesi ragionevole di un recupero entro i limiti e la qualità del caso.
Si è proceduto quindi alla campionatura delle superfici murarie tra le più integre e coese tra quelle decorate del piano nobile in parallelo alla rilettura dell’impianto distributivo nobiliare che in fase di ricerca d’archivio si è dimostrato utilizzare una parte specifica del piano primo. All’interno di questi ambienti sono state campionate le superfici consolidabili senza lacune eccessive da distacco e si è proceduti a consolidamento e restauro conservativo con eliminazione delle stratigrafie sovrapposte nei decenni.
Intonaci microfibrati ed eco-pozzolana. Le parti restanti dopo il fibrorinforzo strutturale sono state completate con startigrafia di finitura in intonaci microfibrati di calce ed eco-pozzolana lavorati in un’unica soluzione a spatola rigida in andamento sulla muratura. Le campionature decorative hanno poi definito i toni cromatici di ripristino delle velature a calce e latte di calce conservando le tonalità dominanti e le specchiature riscontrabili nella gestione decorativa delle pareti nude.
Arch. Andrea Bellodi | Lo stato dell’arte dell’edificio e i motivi dell’intervento
«Le prove a slittamento o quelle a compressione mediante i martinetti piatti hanno confermato che a fronte di grande capacità di resistenza al carico verticale vi fosse una bassissima resistenza a taglio sulle azioni orizzontali. Il dato allarmante derivava principalmente dalla qualità pressoché nulla dei leganti delle murature, di gran lunga inferiore a quanto ci si aspettasse, e che peggioravano in maniera proporzionale salendo di quota nell’edificio. In altri termini quello che era un piano seminterrato costruito rigorosamente in muratura a tre teste con spessori fino a quarantasei centimetri, ricchi di diatoni e di fattura estremamente regolare, cedeva il passo a un piano nobile in cui la muratura ridotta a due teste cominciava a presentare l’utilizzo generoso di mezzi mattoni nei correnti ordinari, scarsità di ammorsature e una malta in cui compariva un legante misto, in parte argilloso, e di consistenza nettamente più fragile del piano precedente. La presa di coscienza si è conclusa con il resoconto delle murature del terzo livello sottotetto, in cui proporzionalmente al finire delle risorse economiche del cantiere ottocentesco si è dato via libera all’utilizzo di tutto il prodotto rimasto disponibile, con la creazione di doppi paramenti accostati privi di connessioni significative e un legante non dissimile a fanghiglia autoctona essiccata. Chiaramente tutto questo avveniva nel punto di maggiore criticità, ossia l’impostazione del livello di copertura, con capriate a doppio monaco e travi diagonali spingenti di quasi quaranta centimetri di diametro a coprire una dimensione generale d’impianto di ventotto metri per diciassette di superficie totale. Dopo questa immagine istantanea si è pensato a quanto generosamente avesse resistito questo edificio e che per quanto avesse ceduto, aveva tuttavia dissipato plasticamente l’energia del sisma in maniera talmente diffusa da procurare un livello di danno esteso in ogni sua parte ma con collassi strutturali limitati a punti precisi di carenze talvolta indotte. L’impianto costruttivo è basato su moduli quadrati di cinque metri per cinque, ripetuti regolarmente rispettando l’infilata classica delle aperture di passaggio e si interrompe sull’asse centrale per la presenza del salone di rappresentanza su ciascuno dei tre piani totali. Le scale distributive interne, anch’esse in asse simmetrico non hanno rotto la regolarità d’impianto e hanno altresì reagito nel modo migliore a discapito del comportamento restante della struttura. Gli archi rampanti delle scale interne sottili per non più di sei centimetri su tre piani, hanno retto elasticamente lo sforzo in maniera nettamente migliore delle murature verticali, una sorta di Davide contro Golia. In sintesi l’immagine strutturale fissata come una radiografia ci rendeva chiara la percezione della debolezza insita nei paramenti verticali, della pesantezza degli orizzontamenti in mattone pieno e tavelle di copertura fuori misura, di oltre trentotto centimetri di lunghezza per sei di spessore, il tutto su un corpo di fabbrica di quattrocentocinquanta metri quadrati per piano».
Chi ha fatto Cosa
Committente: Azienda agricola Lenzi di Lenzi Diana E C., Bondeno, Fe
Progetto architettonico: OQ Project – Studio di architettura, Bondeno, Fe
Direttore lavori: arch. Andrea Bellodi, Oq Project-Studio di architettura, Bondeno, Fe
Impresa edile: Geocostruzioni srl, Formignana, Fe
Fibrorinforzi: Rmp Restauri, Mason Vicentino, Vi
Fibrorinforzi intonaci e finiture: Mapei spa, ing. Giuseppe Melcangi, Structural strengthening line, Milano
Progetto strutturale e direzione lavori: ing. Max Ferron, Rimini, Rn
Consulenti speciali: Is Tessarolo e associati, Bassano del Grappa, Vi
Opere impiantistiche: Csi, Centro servizi impianti srl, Pontelagoscuro, Fe
Restauri pittorici: Moreno Vazzoler, Bassano del Grappa, Vi – Crpa_Conservazione restauro patrimonio artistico, Ferrara
Tinteggiature: Pasquali Riccardo srl, San Martino, Fe
Foto: D. Virdis e P. Grechi