(Cil 172) Oggi non c’è progetto edilizio di un certo rilievo che non sia «ispirato» a criteri di sostenibilità. Come un «mantra» si ripetono formule di sostenibilità in edilizia che fanno riferimento:
- all’impiego di materiali rinnovabili, anziché derivati dal petrolio;
- all’impiego di materiali locali, anziché provenienti da regioni lontane;
- all’impiego di energie rinnovabili, anziché combustibili fossili.
Come queste cose funzionino nel sistema edificio, industria edilizia, ambiente costruito non è facilmente prevedibile o monitorabile. Quale ruolo abbiano i diversi operatori e fruitori dell’ambiente costruito nel perseguire la sostenibilità non è adeguatamente messo in conto. Non voglio con questo dire che queste «formule» siano sbagliate, ma che non possono essere applicate senza avere una visione consapevole di «sistema».
In queste note affronto la questione sotto il profilo del ruolo dell’industria delle costruzioni, ma poiché la sostenibilità si gioca nel ciclo di vita dei prodotti e degli edifici, il punto di vista deve comunque guardare oltre i prodotti e gli edifici costruiti, per capire come sono utilizzati e gestiti fino alle attività di demolizione o rinnovo.
Si deve anche premettere che la sostenibilità non è un problema e un imperativo di settore, così come non è il paradigma di una scienza e di un’area scientifica, e quindi, ragionando di sostenibilità in edilizia, dobbiamo avere una visione intersettoriale e transdisciplinare.
Sostenibilità non è un termine generico. Il termine sostenibilità è utilizzato con diverse connotazioni, quando non è utilizzato in modo generico. Spesso esso viene riferito eminentemente a questioni ambientali e quindi alle relazioni fra attività umane (antroposfera o tecno sfera o economia) e natura (o ecosfera o ambiente naturale). In tale accezione la sostenibilità ambientale trova fondamento nelle scienze naturali, nella filosofia e nell’etica ambientalista, già dagli anni ‘40 del secolo scorso in termini di rispetto della natura, da non considerare solo come risorsa da sfruttare.
Con l’accelerazione del progresso tecnologico, la crescita demografica, la crisi energetica nei paesi occidentali negli anni ’70 il tema ambientale viene affrontato in rapporto al futuro della vita sul pianeta [1], e negli anni ‘80 si coniuga con il tema della povertà e della ricchezza, entrambi causa del degrado del patrimonio naturale a sua volta causa di sottosviluppo e povertà [2]. Il tema ambiente ed equità dello sviluppo, oggi e in futuro, trova una definizione nel rapporto della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo, detto Brundtland [3] a partire dal quale viene inquadrato in successivi documenti internazionali.
La definizione Brundtland stabilisce che lo sviluppo sostenibile è quello «sviluppo che risponde ai bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di rispondere ai propri bisogni». Non è semplice declinare questa definizione né sul piano teorico né su quello operativo. Da più parti se ne sono evidenziate le contraddizioni. Emergono comunque come denominatori comuni alle diverse interpretazioni e declinazioni alcuni aspetti: la sostenibilità è un concetto multi dimensione, sia per quanto attiene ai bisogni da soddisfare e alle capacità da garantire nel tempo, sia per quanto attiene ai «capitali» da proteggere e valorizzare, in particolare quello naturale e quello umano e sociale; in una prospettiva di sviluppo sostenibile serve migliorare la conoscenza dei processi di cambiamento e dotarsi di indicatori per monitorarli e valutarli.
La teoria della sostenibilità è qualcosa di nuovo rispetto ad ambiti teorici che pur su questa convergono, dalle scienze naturali, alle scienze sociali, alle scienze economiche. I paradigmi fondativi di questa nuova scienza richiedono ancora sviluppi empirici per meglio orientare le politiche nei diversi settori e ai diversi livelli.
Un paradigma della sostenibilità è l’idea di limite, ma l’approccio è diverso se si ammette o non ammette che nello sfruttamento delle risorse gli stock dei diversi capitali (naturale, umano e sociale) possono essere considerati interscambiabili fra di loro, ad esempio ammettendo che la riduzione del capitale naturale possa essere compensata da un incremento del capitale umano, o sociale, e viceversa.
Filiera delle costruzioni e sostenibilità
Il contributo, negativo e positivo, delle costruzioni alla sostenibilità dello sviluppo dunque concerne (separatamente o congiuntamente) aspetti ambientali, sociali ed economici lungo la filiera produttiva, di uso del costruito e di fine vita o rinnovo dello stesso, o come si dice lungo il «ciclo di vita» del costruito.
Secondo la organizzazione di dati statistici la filiera è costituita da: attività economiche o produttive, con i loro processi, consumi da altri processi (materiali ed energie) e beni strumentali; attività di consumo finale da parte di chi utilizza edifici e opere. Le attività produttive si articolano in lavori, servizi e forniture.
Le imprese costruiscono, installano, manutengono, rinnovano e demoliscono, ma possono anche includere nelle loro attività forniture e servizi. Fra i diversi servizi nella filiera costruzioni (tecnici, commerciali, immobiliari, finanziari) più importanti sono quelli di progettazione di architettura e ingegneria. Lavori e servizi sono in alcuni casi specializzati in determinati ambiti: terziario, residenziale, infrastrutture.
Le forniture riguardano industrie manifatturiere classificate in base alle materie e alle tecnologie del processo produttivo, nonché in base all’ambito di impiego del prodotto. La gestione e l’uso del costruito riguarda gli utenti finali residenziali, mentre la gestione e l’uso degli edifici per attività industriali e di servizio e delle infrastrutture vengono contabilizzati nelle attività economiche e istituzionali stesse. Come si può allora procedere nella valutazione della sostenibilità di questa filiera nel ciclo di vita dei beni dalla produzione all’uso al fine vita? Le politiche e i programmi per la sostenibilità come possono decidere strategie di sistema per il costruito e le attività economiche relative?
Spesso si usano indicatori di cui sarebbe opportuno conoscere bene il significato onde evitare interpretazioni distorte. È bene sapere a cosa ci si riferisce quando si fanno determinate affermazioni. Il settore delle costruzioni consuma annualmente circa il 30% delle materie prime e il 25% di acqua e produce circa il 30% dei rifiuti conferiti in discarica [4]. Oppure: il contributo medio delle imprese di costruzione all’effetto serra è inferiore all’1% e il prelievo complessivo di minerali pari al 4% [5]. O ancora: il costruito incide per il 40% sui consumi energetici ed è responsabile di circa il 30% delle emissioni climalteranti [6]. Oltre al fatto che si tratta di dati rilevati in contesti diversi (USA, Italia, Europa), nel primo caso ci si riferisce alle fasi di produzione manifatturiera e di costruzione di edifici e infrastrutture, nel secondo caso ai processi di costruzione e manutenzione e nel terzo caso al patrimonio edilizio nel suo insieme con i consumi per l’uso e la gestione. Inoltre, se di sostenibilità si parla, quale è il contributo economico della filiera delle costruzioni all’economia nazionale? Delle imprese di costruzioni, delle industrie di prodotti per le costruzioni?
In base ai dati Eurostat possiamo dire che, ad esempio, il contributo delle imprese di costruzioni al valore aggiunto lordo in Italia nel 2013 risulta pari al 5,6%, in linea con i valori Eu-28 e EA-18, mentre le attività immobiliari contribuiscono per il 14,3% con valori molto più elevati che nella Eu-20 e nella Ea-18 (rispettivamente 11,2% e 11,7%), per le industrie manifatturiere e per i servizi professionali per le costruzioni il contributo al valore aggiunto non è fornito disaggregato dalle rispettive branche. Dunque non è facile calcolare quanto pesa economicamente nell’insieme la filiera. Ancora più difficile è calcolare indicatori sociali quali il contributo in termini di occupazione, o gli incidenti sul lavoro.
Ma anche il contributo della qualità degli edifici e delle infrastrutture sulla salute delle persone, sulla sicurezza, sul benessere. Cresme in Italia analizza periodicamente i dati del mercato delle costruzioni e fornisce previsioni delle sue dinamiche nel contesto economico, demografico e sociale, articola la analisi delle tendenze del mercato immobiliare, della produzione fisica in rapporto al territorio e delle opere pubbliche e analizza il sistema dell’offerta lungo la filiera produttiva delle imprese, dell’ingegneria e dell’architettura e dei fornitori [7]. Ma non entra in merito all’impatto sull’ambiente della filiera delle costruzioni se non per quanto riguarda la categoria di impatto relativa al consumo di suolo.
Dati per valutare la sostenibilità
Un requisito essenziale per potere integrare la dimensione della sostenibilità nei programmi e nei progetti di sviluppo e trasformazione del territorio e dell’ambiente costruito, per passare dalle enunciazioni di principio alle azioni è quello di disporre di informazioni e conoscenze che permettano di sviluppare analisi di sostenibilità sotto il profilo ambientale, sociale e economico.
Un primo ambito di analisi consiste nella descrizione e parametrizzazione dei capitali o patrimoni (naturale, sociale culturale e umano, tecnologico e economico) da salvaguardare e valorizzare, e nella conoscenza dei meccanismi causali che legano azioni di trasformazione e di pressione a danni e degradi di questi stessi capitali. Si tratta della sistematizzazione di dati statistici e della standardizzazione di regole per la elaborazione di indicatori di sostenibilità.
Limitandosi alla sostenibilità ambientale e alle sue dirette implicazioni sull’economia e la società, occorrono dati statistici sulle costruzioni e il costruito che permettano di conoscere a diversi livelli, da quello macro ai singoli settori produttivi, a specifici ambiti di consumo, a specifiche aree e territori, i flussi di materiali, di emissioni in ambiente, i costi ambientali diretti e indiretti.
Si tratta della «Contabilità Ambientale». Negli ultimi venti anni sono state avanzate diverse proposte per definire metodologie standard di Contabilità Ambientale.
I dati non sono ancora disponibili in tutti i paesi, ma l’Europa con diversi paesi Ue ha dato impulso ed applicazione e l’Italia con l’Istat e con alcune regioni pilota è un esempio importante.
Lo stato dell’arte a livello internazionale è rappresentato dai lavori condotti sotto l’iniziativa di Nazioni Unite, Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale, Ocse e Banca Mondiale che hanno permesso in questi anni (dal 2003 ad oggi) di mettere a punto il System of Environmental-Economic Accounting (Seea), per produrre dati statistici comparabili [8]. Il quadro di riferimento è quello del System of National Accounts (Sna) su cui si basano i sistemi statistici nazionali in modo da permettere di integrare la Contabilità Ambientale con i sistemi statistici generali.
Il Seea propone un sistema polivalente a partire dal quale si possono elaborare diversi indicatori a seconda delle finalità e degli ambiti applicativi delle analisi da condurre e delle decisioni da prendere.
Il sistema considera tre categorie di «conti»:
- i conti dei flussi in termini fisici e conti ibridi fisici e monetari;
- i conti economici dell’ambiente;
- i conti patrimoniali dell’ambiente in termini fisici e monetari.
Eurostat, l’ufficio statistico della Ue, ha proposto uno schema per la standardizzazione della Contabilità Ambientale: il Namea (National Accounting matrix including Environmental Accounts) oggi applicato a livello mondiale.
In Italia l’analisi condotta da Istat Namea per gli anni 1990-2003 ha reso disponibili tavole che presentano i dati per attività economica e finalità di consumo delle famiglie (9). Per ciascuna delle attività economiche, attraverso delle matrici input output che evidenziano le relazioni fra le attività stesse, è possibile stabilire le emissioni direttamente o indirettamente generate per soddisfare la domanda finale.
Per i consumi finali delle famiglie sono considerati gli impieghi di energia per uso domestico, per trasporti e altri usi (manutenzione degli immobili). Sia per le attività produttive che per i consumi finali «le pressioni ambientali sono attribuite ai soggetti che risultano direttamente responsabili della generazione delle pressioni stesse». Così impostati i dati fanno emergere la rilevanza dell’impatto ambientale delle attività produttive manifatturiere e, nei consumi finali delle famiglie, del trasporto privato.
Per quanto riguarda la emissione di Co2, tuttavia, è il riscaldamento domestico ad incidere maggiormente sulle emissioni totali delle famiglie anche se in misura decrescente nel tempo. Il trasporto incide notevolmente anche sulle emissioni di alcuni settori produttivi. Attualmente si può disporre in Warehouse I. Stat di conti dei flussi di materiali a livello di intera economia per gli anni 1991-2015 e di conti nazionali ambientali per settori economici e consumi finali con dati fino al 2014.
Partendo da questi dati non è però facile ricostruire l’impatto ambientale lungo il ciclo di vita della filiera edilizia e delle costruzioni nel suo complesso e in diversi contesti, perché i dati sono aggregati e attribuiti in modo tale che alcuni flussi non sono computabili.
Nei sistemi di Contabilità Ambientale, nelle matrici input output derivate e nei sistemi di valutazione, che a queste fanno riferimento, il sistema osservato è descritto secondo un processo top down ovvero che muove lungo le fasi del ciclo di vita dall’alto verso il basso per cui ad esempio tutto l’impatto della produzione e distribuzione di energia elettrica è attribuito al relativo settore economico, e alle attività economiche o alle famiglie è attribuito solo l’impatto del consumo, questo rende difficile risalire dal basso verso l’alto bottom-up, ovvero valutare l’impatto conseguente alle risorse materiali e energetiche a monte e a valle di un attività osservata nel suo complessivo ciclo di vita.
Inoltre per omogeneità con i dati statistici nazionali non sono inclusi alcuni flussi fra natura e attività economiche e fra sistema nazionale e estero. Per questo motivo sono stati messi a punto dei sistemi di contabilizzazione e di valutazione ambientale definiti ‘ibridi’, che integrano le analisi basate sulle matrici Input Output (Io) con analisi di processi standard e le contestualizzano a determinate aree e mercati.
Fra questi il più noto è stato messo a punto a partire dal 1995 dal Green Design Institute alla Carnegie Mellon University [10]. Il metodo permette di determinare l’effetto conseguente al cambiamento di output di un settore. La sua applicazione a specifici contesti economici origina dei modelli, attualmente sono disponibili modelli per gli Usa, la Germania, il Canada e la Spagna.
Valutare la sostenibilità partendo dal basso
La Contabilità Ambientale e le matrici Io sono senza dubbio strumento interessante per definire strategie di sviluppo sostenibile per i diversi settori economici e per un sistema nazionale, e anzi dovrebbero includere indicatori sociali in un’ottica di sostenibilità. Tuttavia i limiti che abbiamo sopra evidenziato sono insiti nella metodologia stessa e non permettono di condurre stime e valutazioni più dettagliate e comprensive.
Soprattutto nel contesto europeo si è intrapresa allora un’altra strada che si caratterizza per un approccio «dal basso», ovvero per innescare la realizzazione di banche dati che raccolgono analisi Lca a partire dall’inventario input output di singoli processi e prodotti per attività economiche e di uso. Questa strada fa leva sull’interesse di produttori, imprese, organizzazioni a qualificarsi sotto il profilo delle prestazioni ambientali e della sostenibilità, in risposta ad una domanda crescente su questi aspetti da parte del mercato pubblico e privato.
Il riferimento metodologico oggi più completo è rappresentato dai documenti redatti da European Commission – Joint Research Centre – Institute for Environment and Sustainability [11] a partire dal 2010, con l’intento di fornire delle regole che permettano di rendere omogenei e comparabili i dati frutto di studi e applicazioni del metodo Lca.
Intanto a partire dal 2010 il Consiglio Europeo ha invitato la Commissione a sviluppare una metodologia fondata sull’approccio Lca per la valutazione e la etichettatura di prodotti in merito a prestazioni ambientali, e ha avviato studi e una fase pilota (2013-2016) per definire due strumenti di dichiarazione e rilascio di etichettatura: il Product Environmental Footprint Pef, l’Organisation Environmental Footprint Oef.
Ma il settore delle costruzioni e il sistema delle trasformazioni dell’ambiente costruito hanno delle peculiarità e una rilevanza nell’impatto sullo sviluppo sostenibile che richiedevano un percorso specifico. Sempre a partire dal 2010 si sono svolti, ancora su mandato della Commissione Europea, i lavori del gruppo tecnico di normazione europea Cen/Tc 350 relativi alla definizione di norme «volontarie» per la contabilizzazione e valutazione Lca di aspetti di sostenibilità di opere delle costruzioni, nuovo e sull’esistente, e di dichiarazioni ambientali di prodotto (Epd) per le costruzioni.
Si tratta di un pacchetto di norme volontarie, dal livello europeo recepite al livello nazionale, che permettono di stimare in modo aggregato prestazioni di sostenibilità degli edifici a partire dalle prestazioni ambientali dei prodotti (dichiarate in Epd) e contemplando oltre a indicatori di impatto ambientale, aspetti di costo (il costo nel ciclo di vita dell’edificio) e prestazioni quantificabili degli edifici in rapporto a questioni sociali (salute e comfort).
Gli strumenti normativi a cui si è giunti con i lavori del Cen Tc350 riflettono lo stato dell’artenelle analisi Life Cycle per quanto riguarda gli aspetti ambientali (dalla dichiarazione di prodotto alle prestazioni ambientali dell’edificio), gli aspetti economici (Life Cycle Cost dell’edificio), gli aspetti sociali (a livello di prestazioni dell’edificio) e per quanto riguarda la applicazione in ambito edilizio e, se pure non ancora parimenti, in ambito di opere dell’ingegneria civile.
Ma il fatto più importante sul fronte della valutazione e comunicazione della sostenibilità dei prodotti da costruzione in Europa è rappresentato oggi dal Regolamento Europeo per i prodotti da costruzione (Cpr), adottato il 9 marzo 2011, che si propone di assicurare un’informazione affidabile sulle prestazioni dei prodotti da costruzione, compreso le prestazioni ambientali, fornendo un «linguaggio tecnico comune» e metodi uniformi di valutazione per le prestazioni dichiarate, in fase di uso, di installazione e messa in opera, di «fine vita».
In particolare con il Cpr un nuovo 7° requisito base per le costruzioni, «uso sostenibile delle risorse», è stato aggiunto ai 6 già previsti nel regolamento precedente. Il Regolamento Europeo costituisce il quadro di riferimento entro il quale dovrà muoversi, nello specifico delle costruzioni, la politica italiana per gli acquisti verdi della pubblica amministrazione (Gpp) in base al nuovo «Codice degli appalti», con l’adozione dei «Criteri Ambientali Minimi».
L’obiettivo a livello della politica degli Acquisti Verdi italiani guarda in realtà oltre,con l’intento di passare da acquisti verdi a acquisti sostenibili, per includere anche aspetti sociali in rapporto ai diritti umani e alle condizioni di lavoro, in particolare per quanto concerne le fasi della produzione nel ciclo di vita del costruito.
Lavorare in modo coerente per la sostenibilità del costruito
Alcune conclusioni e prospettive si possono indicare dal quadro sinteticamente delineato. I tempi sono maturi per fondare su conoscenze e metodi condivisi e affidabili le stime e le valutazioni di sostenibilità del costruito: occorre un approccio sistemico e di visione nel ciclo di vita; i diversi strumenti operativi, etichette, dichiarazioni certificate, banche dati, ecc. devono andare sempre più a costituire un sistema organico e non contraddittorio che in modo trasparente permetta di informare e supportare analisi e decisioni a diversi livelli; gli studi che partono dal basso, dai singoli prodotti, dalle singole organizzazioni, dai singoli interventi edilizi hanno una importanza fondamentale, se condotti secondo regole e linguaggi comuni riconosciuti a livello internazionale permetteranno di costruire banche dati che snelliranno le procedure di dichiarazioni e valutazione della sostenibilità del costruito alle scale di interesse e possono convergere con i sistemi di Contabilità Ambientale e Sociale.
Alcuni aspetti emergono e vanno ancora messi a fuoco per la «sostenibilità» delle costruzioni e del costruito:
- gli aspetti ambientali sono rilevanti al pari degli aspetti sociali, non c’è salvaguardia dell’ambiente senza salvaguardia del patrimonio costruito e del patrimonio sociale che lo abita, ma quali indicatori descrivono e permettono di parametrizzare questo patrimonio? Il benessere delle persone? La tutela della qualità culturale e paesaggistica? L’equità sociale? Servono indicatori applicabili anche alla scala locale;
- la fase di uso e gestione ha un ruolo rilevante perché riguarda tutto il costruito, ma non bastano azioni volte a ridurre l’impatto energetico e il contributo all’effetto serra del riscaldamento, occorre guardare anche alle città e al territorio, se i fattori di pressione più elevati sono costituiti dal trasporto privato dei residenti, serve una politica di uso del suolo e di valorizzazione delle città;
- le attività economiche nelle costruzioni sono esse stesse un patrimonio da salvaguardare e promuovere, occorre focalizzare l’attenzione su impatti ambientali quali quelli legati ai trasporti di materie prime e di forniture e alle infrastrutture industriali desuete, occorre mettere in evidenza alcuni indicatori sociali quali occupazione e sicurezza sul lavoro, servono innovazione ambientale e responsabilità sociale.
- Il settore delle costruzioni e il suo indotto industriale e di servizi hanno un peso ambientale, sociale ed economico troppo rilevante perché non ci si doti di conoscenze e strumenti di supporto alle decisioni in un’ottica di sviluppo sostenibile. Il costruito è prima di tutto una risorsa, un capitale, le analisi nel ciclo di vita del costruito non possono limitarsi a descriverne l’uso e la gestione come fattori di pressione e di impatto.
di Maria Chiara Torricelli, professore ordinario, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Firenze
Referenze Bibliografiche
[1] Mit, Rapporto «The limits to Grouth» 1972.
[2] Iucn, «World Conservation Strategy» 1980.
[3] Wced, «Our Common Future», 1987
[4] Us Construction National Research Council Washington DC 2009.
[5] Istat Namea Tavole 1990-2003.
[6] Eurac 2016.
[7] Cresme, XXIV Rapporto congiunturale e previsionale 2016.
[8] Seea 2012 Experimental Ecosystem Accounting, Un 2014.
[9] Istat Namea Conti economici integrati con conti ambientali.
[10] Cmu 2002, Economic Input- Output Life Cycle Assessment -Eiolca.
[11] Ec-Jrc–Ies International Reference Life Cycle Data System (Ilcd) Handbook 2010 e sg.